In scena una scrivania ingombra di fogli, scatoloni pieni di documenti, una cartina della Terra appesa alla parete. E un uomo, un conferenziere apparentemente goffo e impacciato, che comincia a raccontare le storie di persone sparse ovunque per il pianeta che si diedero da fare per salvare gli ebrei dallo sterminio. Quell’uomo è come posseduto dal demone del ricordo, da una ossessiva, struggente e buffa volontà di ordinare ed inventariare nomi, date, luoghi, per impedire che la memoria dei fatti e delle persone scivoli via, consegnata all’oblio del tempo. Quel conferenziere altri non è che Moshe Bejski, per anni presidente della Commissione dei Giusti presso il Memoriale di Yad Vashem a Gerusalemme, l’Ente fondato per rintracciare tutti coloro che rischiarono la vita per aiutare gli ebrei durante la persecuzione nazista. La piéce, interpretata dal bravissimo Massimiliano Speziani e scritta a quattro mani con Paola Bigatto, regala allo spettatore l’emozione di scoprire che ogni uomo, per molte cause – umanità, interesse, caso – può essere un Giusto. Davanti a noi scorrono storie diverse, che fanno emozionare ma anche riflettere: non tutte sono trasparenti, anche il bene può essere ambiguo ed è spesso difficile darne una definizione univoca, come per il male. Ma rimane il fatto che nulla è più nobile che salvare una vita umana messa in pericolo da altri uomini. Si dipana così un racconto lieve, privo di retorica e commovente del bene possibile che comunque possiamo compiere: un bene forse incapace di rovesciare la Storia, ma in grado di rovesciare i destini di singoli uomini, per consegnarli nuovamente alla speranza.